Storia della Cisl di Treviso 1945-1950

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Lo studio del ‘caso’ trevigiano conferma i caratteri fondamentali del sindacalismo cattolico italiano nel periodo unitario del secondo dopoguerra, già messi in luce in particolare dai lavori di Vincenzo Saba, vale a dire l’astrattezza dell’analisi, l’incertezza circa l’indirizzo da assumere, l’impreparazione organizzativa e la subalternità di fatto alla Dc, a dispetto del formale riferimento al principio della apoliticità del sindacato.

AUTORE: Giuseppe Vedovato

 

Lo studio del ‘caso’ trevigiano conferma i caratteri fondamentali del sindacalismo cattolico italiano nel periodo unitario del secondo dopoguerra, già messi in luce in particolare dai lavori di Vincenzo Saba, vale a dire l’astrattezza dell’analisi, l’incertezza circa l’indirizzo da assumere, l’impreparazione organizzativa e la subalternità di fatto alla Dc, a dispetto del formale riferimento al principio della apoliticità del sindacato.
Una caratteristica peculiare di Treviso, sia in ambito politico che (conseguentemente) sindacale, è invece il “dualismo” tra ex popolari e giovani dirigenti provenienti dall’Azione cattolica. In forza di tale dualismo i giovani leader della Dc trevigiana del secondo dopoguerra, Bruno Marton e Domenico Sartor, preferiscono affidare ad altri giovani (anche se del tutto inesperti di sindacato) come Giordano Anselmi e Agostino Pavan la rappresentanza nella Camera del lavoro unitaria, piuttosto che attingere alla ancor consistente pattuglia di autorevoli organizzatori del sindacalismo bianco prefascista.

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